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![]() ISTRUZIONE OBBLIGATORIA Formazione di base impartita a tutti i giovani entro una determinata fascia d'età da parte degli stati moderni, che impongono agli esercenti la patria potestà di sottomettervi i propri figli. La questione dell'obbligo scolastico si sviluppò in Europa nella seconda metà dell'Ottocento di pari passo con l'affermazione dell'istruzione pubblica. In buona parte dei paesi europei e occidentali fu introdotto l'obbligo (formale, in quanto perché si trasformasse in pratica sostanziale occorsero parecchi decenni), con un significativo sincronismo: in Gran Bretagna nel 1880 (ma una prima formulazione risale al 1870), in Francia nel 1881-1882, in Olanda e in Svizzera, in molti paesi (coloniali e non) dell'area anglosassone, nella Scozia, in Canada, in quattordici stati degli Usa, in molte parti dell'Australia e in Nuova Zelanda, tra gli anni settanta o nei primi anni ottanta. In Giappone, che aveva un ordinamento scolastico di ispirazione europea, l'obbligo risale al 1875. In Italia il dibattito sulla questione si era aperto almeno a partire dall'approvazione della legge Casati (1859), che non prevedeva direttamente l'obbligo della frequenza della scuola statale, ma quello per i capi famiglia di dare ai figli un'istruzione che fosse equivalente a quella pubblica, e si sviluppò in particolare negli anni settanta. Le posizioni di quanti sostenevano l'importanza dell'emancipazione popolare nella crescente consapevolezza del ruolo che una scuola gestita dallo stato poteva avere nella formazione di una comune coscienza nazionale finirono col prevalere su quelle di coloro che osteggiavano l'introduzione dell'obbligo sottolineando: l'impatto sociale sulle famiglie di cui sconvolgeva abitudini secolari e alle quali toglieva un'importante fonte di sussistenza; i danni economici, in quanto sottraeva manodopera a basso costo; la potenziale diffusione di idee socialiste e sovversive provocata da un aumento della scolarità. Nel 1877 venne così approvata la legge presentata dal ministro della Pubblica istruzione Michele Coppino. Essa introduceva l'obbligo scolastico fino a nove anni; portava il corso elementare da quattro a cinque anni, trasformando in triennale il suo ciclo inferiore; non prevedeva la religione tra le materie di insegnamento, indicando solo prime nozioni dei doveri dell'uomo e del cittadino. L'obbligo veniva definito in base all'età (fino a nove anni), limitatamente al corso elementare inferiore. La legge, pur importante, non costituì una soluzione del problema dell'analfabetismo (alfabetizzazione) che aveva profonde radici sociali ed economiche: numerose e larghe le eccezioni all'obbligo previste; difficoltà a controllare l'effettivo rispetto della legge; blande e vaghe le sanzioni; nulli gli aiuti ai comuni (che in quel periodo gestivano anche finanziariamente le scuole elementari e gli insegnanti); pressoché immutato il problema della formazione quantitativa e qualitativa dei maestri e quello della loro condizione professionale. Non rompendosi la spirale tra bisogni delle famiglie, richieste del mercato del lavoro e concezioni giustificatorie dell'esistente, l'evasione dell'obbligo scolastico fu forte proprio presso quegli strati popolari disagiati che la legge avrebbe dovuto favorire. Inoltre iscrizione scolastica non equivaleva a frequenza scolastica regolare e, anzi, spesso, la prassi era quella di una frequenza saltuaria, a motivo dell'impiego dei bambini in moltissime attività lavorative, oltre che delle cattive condizioni delle strade e della distanza dalle scuole. Nelle politiche scolastiche il tema dell'emancipazione popolare venne svolto recuperando l'ispirazione liberal-risorgimentale, ma cautelandosi dal pericolo contestativo e sovversivo riaffermò il dovere dello stato ad avere e diffondere una sua generale visione del mondo (laica e contrapposta a quella della Chiesa); piuttosto che il collegamento possibile tra diffusione dell'istruzione e sviluppo dell'economia, fu sottolineato quello della costruzione della coscienza nazionale, intesa come elemento della coesione sociale attorno all'egemonia esistente. D. Ragazzini |
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